Tra castelli, tavole e calici l’identità di una terra
In giro per il piacentino, tra i piatti del Nido del Picchio e le bellezze di Castello di San Pietro in Cerro e Castell’Arquato
Nel piatto e nel calice, l’identità di una terra che chiede di essere conosciuta con pazienza, non di sfuggita. E lo fa con voci e competenze che si uniscono e altre ne vogliono richiamare. Daniele Repetti, chef del Nido del Picchio, ci accoglie in una domenica estiva accanto alla moglie Lucy Cornwell che ci fa sentire subito a nostro agio nel ristorante stellato di Carpaneto Piacentino. C’è voglia di svelare il territorio, nel menu e nei discorsi, piacevolmente affiatati. Daniele non ama parlare di sé, ciò che deve dire a questo proposito arriva a tavola.
La domenica si stende placida, solleticando la nostra curiosità per l’orgoglio del territorio che si unisce a incursioni lontane, come nelle spezie. Ma subito percepiamo come il discorso si allarghi. Come qui stia sorgendo lentamente - senza fretta, come le radici richiedono - un lavoro di squadra. Già un’alleanza si era sancita nel dichiarare queste terre piacentine come meritevoli di una scoperta approfondita. Castello di San Pietro in Cerro e Castell’Arquato: location incantevoli, su cui il Nido del Picchio e Locanda del Re Guerriero hanno imbastito un pacchetto di due giorni.
Tuttavia, la squadra è anche gastronomica, senza gelosie. Il volto di Daniele Repetti si illumina parlando della collega, Isa Mazzocchi - «La Isa de La Palta» - anche lei chef con una stella. E accompagna il proprio percorso tra i sapori, con due cantine del posto: Romagnoli e Luretta. «In comune abbiamo l’amore per il territorio – spiega lo chef del Nido del Picchio – che significa però anche valori e responsabilità. Sentite le zucchine come sono dolci? Io prendo gli ortaggi in un’azienda di Pontenure, dove non si usano diserbanti, e si sente».
Daniele va fiero delle tipicità del suo territorio, dai salumi al vino («Siamo gli unici ad avere un vino rosso frizzante come il Gutturnio»), dal tartufo («Non abbiamo niente da invidiare alle Langhe») ai funghi. In questa domenica in cui assaggiamo e ascoltiamo i progetti per il futuro, già seminati, le sensazioni si fondono.
E se capiamo perché i piatti di pesce sono così richiesti dai clienti – per lo più locali – la pasta è un canto fiero (come il raviolo scomposto e ricomposto, con il pomodoro che regna dentro e fuori, nell’acqua che abbraccia l’olio di mirto), ma non possiamo scordare le sensazioni suggerite dal Riso mantecato al lime con capesante e polvere di alghe. Senza dimenticare l’accurato lavoro sul pane, anzi sui pani, che si affermano come protagonisti con personalità non meno spiccate.
Ma nella memoria dei sapori, resta in vetta la Tartare di barbabietole con latte di mandorle, mandorle tostate e capperi fritti. Un tocco magico, un incontro che si preannuncia insolito, eppure diventa subito familiare.
Incontro, è la parola chiave mentre degustiamo sapori e progetti. Lucy ci versa un vino delle Cantine Romagnoli, che lo spiega ancora più efficacemente. Il Colto Vitato della Filanda 2017 “3” (Emilia Igt, Ortrugo) ci mostra che essere legati alla propria terra non significa rinchiudersi, anzi: grazie a una criomacerazione ispirata da tecniche neozelandesi, riesce ad esprimere con un’intensità ancora più marcata la complessità dei profumi e l’identità di questi vigneti. Come sul finale Le Rane, Malvasia Colli Piacentini Doc 2012 della Luretta, è un piacere dorato che accompagna i profumi alla freschezza.
Amore per il territorio e contaminazioni con altre culture: nessuna contraddizione. «Sui piatti della tradizione – spiega lo chef – sono un talebano, non si possono stravolgere. Rivisitare? Prima facciamoli bene». Come i pisarei, di cui pur ogni famiglia conserva gelosamente una ricetta. Ma nel resto del viaggio, non bisogna temere confini e nel menu troviamo il pepe di Sichuan che valorizza la spuma di burrata, mela e gambero rosso, o spezie dall’Iran.
Del resto, il vicino Castello di San Pietro - una solida storia intrecciata alla famiglia Barattieri per cinque secoli e ora di proprietà di Franco Spaggiari che se ne prende cura con passione – accentua proprio questo. Le radici, cruciali, e da valorizzare, possono fondersi anche con la modernità (vedi le collezioni all’ultimo piano) e spingersi ad accogliere tesori lontani, come le statue dei guerrieri di Xian.
Tutto sembra così naturale, perché lo è, o meglio così si è: «Vorremmo far conoscere questo nostro territorio, io, la Isa, gli altri – conclude Repetti – Siamo amici, legati dal rispetto reciproco e da quello per il luogo dove viviamo e lavoriamo. Ci stiamo lavorando e lo porteremo avanti, perché ci crediamo».